La Piana  veniva indicata da romani e bizantini come Vallis Salinarum (probabilmente a causa di acquitrini salmastri all'epoca esistenti sulla costa e alla foce dei fiumi), tale nome fu usato fino al medioevo. In seguito fu denominata Planities Sancti Martini (Piana di San Martino), ad esempio in una provvisione di Re Carlo II, del 1305, si trova: quod habet in Planitie Sancti Martini et Sancti Giorgii, traduzione: “che è (situata) nella Piana di San Martino e San Giorgio”.


Ulivi secolari nella Piana

Nel 1500, all'incirca, prese il nome di Piana di Terranova, infatti Terranova all'epoca era il centro più noto; nell'opera di Leandro Alberti Descrittione di tutta Italia del 1567 viene invece riportata come «una molto larga e lunga pianura di San Giovanni quasi tutta inculta e piena di cespugli e boschi»; il fatto che essa si presentasse così è confermato anche dal Barrio nel suo De antiquitate et situ Calabriae .

Nel 1600, essendo diventato Seminara il centro feudale più importante della Calabria meridionale tirrenica, il territorio ne prese di conseguenza il nome (Piana di Seminara) mentre gli studiosi che la visitarono a causa del terremoto del 1783 la indicarono comepiana di Calabria o, più raramente, come Piana di Monteleone, ambedue questi termini rimasero limitati all'ambito letterario ed intellettuale.

Con il decadere di Seminara, l'area fu successivamente indicata come Piana di Palmi, come si può leggere negli scritti dei geografi del '700 e dell'800, questo anche grazie al fatto che nel 1816 la città fu elevata a capoluogo di circondario. Durante il XIX secolo, accanto a tale denominazione, ebbe diffusione anche il toponimo di Piana di Gioia Tauro, dal nome dell'attivo centro in cui si commerciava l'olio d'oliva prodotto nella zona; attualmente si può considerare quello maggiormente usato. Alcuni autori hanno anche utilizzato altre denominazioni quali Piana di Rizziconi o Piana di Cittanova ma tali termini s'intendono in genere riferiti ai rispettivi territori comunali.

Un ultimo nome, attualmente abbastanza diffuso, è quello di Piana di Rosarno. Anche se inizialmente indicava solo il comprensorio di bonifica che si estendeva attorno al centro viene ora usato anche per indicare l'intero territorio della Piana.

 

Dall’infelice condizione in cui era caduta dopo il terremoto del 1783, seguito dall’impianto della malaria, Rosarno venne progressivamente affrancata, grazie alla bonifica avviata dal Marchese Vito Nunziante, fedelissimo generale di re Ferdinando di Borbone, cui venne affidato il compito di procedere al risanamento del territorio, dietro lautissimo compenso: il possesso degli 854 ettari bonificati! Migliaia furono i lavoratori impiegati nella gigantesca opera di redenzione agraria, provenienti dai paesini del Monte Poro, e dal Cosentino, tutti raggruppati in un villaggio in riva al mare, che prese il nome nel 1831 di San Ferdinando, frazione di Rosarno fino al 1978, quando fu eretto a Comune autonomo.

 

Completata nel corso dei decenni a venire con interventi mirati a contenere la furia delle acque che devastanti dall’Aspromonte e dalle Serre si riversavano verso il mare, la bonifica della Piana di Rosarno produsse gli effetti sperati, trasformando un territorio acquitrinoso e insalubre in una plaga ubertosa e lussureggiante, a tal punto da rendere possibile l’impianto di colture agricole pregiate, quali quelle agrumicole ed olivicole. Ottimi risultati sta conseguendo la coltivazione del kiwi.

 

Grazie alle accresciute potenzialità economiche, nel corso degli anni Rosarno vide incrementare progressivamente la popolazione, divenendo punto di riferimento per migliaia di lavoratori provenienti dai paesi vicini e dalla zona jonica, e di commercianti di prevalente origine napoletana (Gargano, Criscuolo) che, grazie all’apertura della linea ferroviaria Eboli-Reggio Calabria, aprirono empori e magazzini sulla via Nazionale, in prossimità della stazione ferroviaria. All’inizio del Novecento la ferrovia registrava un movimento merci tale da consentire un reddito annuo di mezzo milione di lire. I traffici commerciali di ben 7 mandamenti (Polistena, Cinquefrondi, Laureana, Mileto, Nicotera, Soriano e Arena) facevano capo alla cittadina. Gli operatori dei paesi vicini potevano trovarvi “quei generi che prima forniva solo Gioia Tauro”, un centro a vocazione schiettamente commerciale, a cui Rosarno in quegli anni aveva strappato il primato. Un ulteriore impulso alla trasformazione agraria venne dato dall’occupazione delle terre del Bosco (come già detto, rifugio privilegiato delle bande di briganti fedeli al deposto re borbonico durante il decennio francese), avvenuta nel 1945. Ben 750 ettari incolti vennero incamerati in modo pacifico da altrettante famiglie di contadini, che impiantandovi agrumeti ed oliveti riuscirono a venir fuori dalla condizione di ancestrale miseria ed assicurarsi un avvenire più dignitoso.

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